Dal cinema all’agricoltura: Jonathan Nossiter e le conserve di pomodoro de l’Orto Vulcanico La Lupa


Il regista di Mondovino e Resistenza Naturale si reinventa orticoltore al Lago di BolsenaLe conserve di pomodoro di varietà antiche come promotrici della progettazione di un nuovo modello agricolo…

Nato negli Stati Uniti nel 1961, Jonathan Nossiter, dopo essere cresciuto ed essersi formato tra Francia, Inghilterra, Italia, Grecia e India, torna a New York dove comincia la sua carriera nel mondo del cinema.
Nel 2004 viene presentatoal Festival di Cannes Mondovino, un documentario cult che racconta e mette a confronto due approcci alla produzione vitivinicola opposti: da un lato le grandi aziende, le modalità produttive simil-industriali e l’omologazione del gusto, dall’altro le piccole realtà agricole e contadine, la lavorazione artigianale e la salvaguardia dell’identità e delle tradizioni di un territorio.
Nel 2014 Nossiter torna a parlare di vino con un nuovo documentario, Resistenza Naturale, che denuncia un approccio agricolo intensivo appoggiato dalle istituzioni attraverso il racconto di quattro vignaioli simbolo dell’opposizione alla standardizzazione delle pratiche agricole e produttive:
Giovanna Tiezzi di Pacina, Elena Pantaleoni di La Stoppa, Stefano Bellotti di Cascina degli Ulivi e Corrado Dottori de La Distesa.

 

Jonathan Nossiter racconta l’urgenza e le sorprese di una nuova resistenza italiana

Oggi Jonathan Nossiter è passato dall’altra parte della macchina da presa vestendo i panni dell’agricoltorecon la fondazione dell’azienda agricola l’Orto Vulcanico La Lupa.

 

Una delle varietà di pomodori non ibridati

L’Orto Vulcanico La Lupa e le conserve di pomodori.

Nato nel 2016 nei pressi del Lago di Bolsena, l’Orto Vulcanico La Lupa è il suo progetto di orticoltura rivoluzionario che scommette sul recupero di semi ancestrali, sul ripristino della biodiversità e sull’applicazione di un modello agricolo rigenerativo.
La policoltura è dunque l’elemento cardine su cui si fonda l’Orto Vulcanico che accoglie al suo interno più di 120 varietà differenti di pomodori, altrettante di cipolle, più di mille ortaggi di tutti i tipi, alberi da frutta, piante aromatiche e tanto altro, diventando di fattoun polo di salvaguardia delle varietà antiche e la sede di una banca dei semiaccessibile a tutti.

Il progetto di Jonathan Nossiter si ampliapoicon l’apertura di un laboratoriodove, con il supporto della chef onanese Valentina Bianchi, viene avviata la produzione di conserve di pomodoro da varietà antiche non ibridate lavorate singolarmente. Lo scopo di Jonathan è, come per un vignaiolonei confronti della propria uva,l’esaltazione di una materia primaintegra coltivata senza l’uso di diserbanti, concimi o pesticidi di sintesi e l’espressione di un terroir.
Ogni barattolo di conserva contiene al suo interno una parte di pomodori trasformati in passata e una parte di pomodori pelati in modo da mantenere e massimizzare le caratteristiche organolettiche e nutritive originarie del frutto

Attraverso il suo lavoro all’Orto Vulcanico La Lupa, Jonathan Nossiter lancia, come già aveva fatto con i suoi documentari,un chiaro messaggio politico:
La necessità di dover riprogettare l’approccio agricolo odierno.

Poiché cerchiamo anche le variazioni di terroir da un appezzamento di terreno all’altro, non solo confezioniamo separatamente ogni varietà di pomodoro, ma indichiamo il microclima specifico in cui è stato coltivato. Notiamo anche in etichetta il numero molto limitato di una varietà specifica che viene prodotta ogni anno: un’edizione limitata in ciascun caso, che va da un singolo barattolo di Ciliegiolo Rosaverde a due barattoli di Viola di Russia a 700 barattoli di Ciliegino di Bolsena. L’idea non è quella di riprodurre lo spirito snob e neoliberista del mondo dell’arte e il suo tentativo di determinare il valore monetario sulla base di speciosa rarità, ma di sottolineare la singolarità e la gioia delle espressioni della natura.

Stiamo cercando di coltivare queste differenze nella gioia della loro eterogeneità: una risposta celebrativa alla devastazione delle forze omogeneizzanti intorno a noi.

Anche se siamo certificati biologici, questo è purtroppo diventato un termine quasi privo di significato a causa di normative assurdamente lassiste. Evitiamo rigorosamente pesticidi chimici sintetici, erbicidi. fungicidi o altre forme di abuso del regno vegetale.

Ci ispiriamo dalla visione del grande agricoltore-poeta giapponese Masanobu Fukuoka (il suo saggio “La rivoluzione del filo di paglia” è altamente raccomandato a chiunque sia interessato all’agricoltura). Fukuoka è considerato il nonno del movimento dell’agricoltura naturale per tutti quegli agricoltori impegnati in qualcosa di più di una semplice etichetta “biologica”.

Ma il nostro approccio è non ideologico, empirico, intuitivo e (forse) potrebbe essere descritto come agricoltura rigenerativa, consapevole che qualsiasi atto di agricoltura è già un’aggressione contro la natura e quindi richiede una sensibilità al rinnovo e ripristino affinché la piena biodiversità di questo terroir possa prosperare da sola, accompagnando e influenzando qualsiasi cosa coltiviamo.”

E’ così che il pensiero di Nossiter si fa strada dal produttore al consumatore.

Jonathan Nossiter insieme ai membri dell’azienda e Laca Gargano, presidente della Velier

Biodiversità come concept e stile di vita attraverso le parole di Nossiter…

“Rintracciamo minuziosamente antiche varietà di semi da agricoltori appassionati, meticolosi collezionisti di semi a livello regionale (ogni regione in Italia sembra avere un custode sorprendente come Angelo Passalacqua in Puglia o Orlando Sculli in Calabria), banche di semi universitarie e persino l’occasionale istituzione governativa.

Seminiamo nel nostro vivaio e poi trapiantiamo le piantine – o direttamente il seme – nei nostri orti. Ci prendiamo cura di ogni pianta come se fosse un individuo, con particolare attenzione alle loro radici, che potrebbero essere descritte come il cervello, cuore, terminazioni nervose e la bocca della pianta.

Con le antiche varietà di semi è sempre sorprendente come producano una varietà di forme, colori e sapori diversi non solo da una pianta all’altra, non solo da un ramo all’altro, ma anche all’interno dello stesso grappolo di frutti, nato dai fiori nello stesso momento. Ogni singolo frutto si esprime nella sua individualità tanto quanto i fratelli e le sorelle nati dagli stessi genitori. Ecco perché raccogliamo anche con una scrupolosa manualità: non pianta per pianta o addirittura grappolo per grappolo ma un pomodoro alla volta, dal momento che potrebbero esserci settimane di differenza nella maturazione anche tra due sorelle dello stesso grappolo.

Poiché cerchiamo anche le variazioni di terroir da un appezzamento di terreno all’altro, non solo confezioniamo separatamente ogni varietà di pomodoro, ma indichiamo il microclima specifico in cui è stato coltivato. Notiamo anche in etichetta il numero molto limitato di una varietà specifica che viene prodotta ogni anno: un’edizione limitata in ciascun caso, che va da un singolo barattolo di Ciliegiolo Rosaverde a due barattoli di Viola di Russia a 700 barattoli di Ciliegino di Bolsena. L’idea non è quella di riprodurre lo spirito snob e neoliberista del mondo dell’arte e il suo tentativo di determinare il valore monetario sulla base di speciosa rarità, ma di sottolineare la singolarità e la gioia delle espressioni della natura.

Stiamo cercando di coltivare queste differenze nella gioia della loro eterogeneità: una risposta celebrativa alla devastazione delle forze omogeneizzanti intorno a noi.

Anche se siamo certificati biologici, questo è purtroppo diventato un termine quasi privo di significato a causa di normative assurdamente lassiste. Evitiamo rigorosamente pesticidi chimici sintetici, erbicidi. fungicidi o altre forme di abuso del regno vegetale.

Ci ispiriamo dalla visione del grande agricoltore-poeta giapponese Masanobu Fukuoka (il suo saggio “La rivoluzione del filo di paglia” è altamente raccomandato a chiunque sia interessato all’agricoltura). Fukuoka è considerato il nonno del movimento dell’agricoltura naturale per tutti quegli agricoltori impegnati in qualcosa di più di una semplice etichetta “biologica”. Guardiamo con attenzione anche al lavoro del fitoneurobiologo Stefano Mancuso e alle sue rivelazioni sull’invenzione e l’intelligenza del regno vegetale (il cui lavoro è ugualmente raccomandato per tutti i visitatori qui).

Ma il nostro approccio è non ideologico, empirico, intuitivo e (forse) potrebbe essere descritto come agricoltura rigenerativa, consapevole che qualsiasi atto di agricoltura è già un’aggressione contro la natura e quindi richiede una sensibilità al rinnovo e ripristino affinché la piena biodiversità di questo terroir possa prosperare da sola, accompagnando e influenzando qualsiasi cosa coltiviamo.

Policoltura, Jonathan Nossier ci spiega in cosa consiste.

Crediamo che la policoltura sia la via più emozionante e proficua da seguire e che solo con l’agricoltura eterogenea (e vivente!) possiamo ravvivare costantemente e quindi rinnovare il suolo. Rifiutando il modello agricolo produttivista che ha decimato gli ecosistemi mondiali dalla rivoluzione industriale, stiamo attenti a far ruotare anche all’interno di piccoli appezzamenti ogni singola coltura (compresi i nostri pregiati, amati pomodori da cui dipendiamo). Uniamo colture diverse all’interno delle file: scalogno con lattuga, fave con pomodori oppure ancora mais con fagioli e zucchine (come è consuetudine in centro America) o qualsiasi numero di combinazioni. Nonostante la moda delle consociazioni fisse, siamo interessati a esplorare le varie combinazioni di piante come un viaggiatore potrebbe gioire nell’incontrare più culture attraversando un continente.

Per noi è anche fondamentale che tutte queste “culture” straniere coesistano in armonia con la biodiversità locale, la cornucopia spontanea e unica delle colline intorno al lago di Bolsena. Non è solo un valido principio agronomico per preservare la vita biologica e fungina del suolo, ma è il minimo che si possa fare per onorare l’antica dea etrusca di Bolsena, Nortia. Durante la dolcissima e richissima presenza etrusca nell’Italia centrale (IX-III secolo a.C. circa), le 12 città stato confederate dell’Etruria si riunivano una volta all’anno a Volsinii (probabilmente Bolsena) per celebrare i loro riti religiosi più importanti nel tempio di Nortia, dea della fortuna e abbondanza.”

 

 


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